La fitoterapia tradizionale cinese e’ uno dei pilastri su cui si basa la medicina tradizionale cinese. La storia di questa cultura medica risale alla notte dei tempi e si perde nelle descrizioni mitologiche di grandi figure come l’imperatore Shennong il padre dell’erboristeria cinese. Si narra che ogni giorno, questo personaggio, riuscisse ad assaggiare e a descrivere le qualita’ intrinseche di ben 40 erbe. Questa sicuramente e’ una leggenda che pero’ ci permette di osservare come la cultura della cura con le piante fosse antica e approfondita. In Cina il popolo e’ sempre stato dedito all’agricoltura, utilizzo’ sin dall’antichita’ le piante sfruttando le loro proprieta’ terapeutiche non tanto con un indirizzo sintomatologico della cura, ma piuttosto con un indirizzo patogenetico, utilizzando le caratteristiche energetiche proprie delle piante stesse. Infatti non solo era a conoscenza delle caratteristiche funzioni di salita, discesa, concentrazione e diffusione di ogni singolo semplice, ma era in grado, con l’associazione ad altri semplici o modificando le modalita’ di cottura, di trasformare le caratteristiche terapeutiche delle erbe cosi’ come erano in natura. I cinesi, inoltre, conoscendo i principi dell’agopuntura utilizzarono la teoria dei canali energetici come via preferenziale di organotropismo per le piante terapeutiche. Infatti fin dall’antichita’ gli erbari tradizionali, chiamati bencao, erano caratterizzati da una catalogazione delle piante per gruppi terapeutici (diaforetici, purganti, tonici, eupeptici etc.), parte utilizzata (foglie, radici, semi etc.), ma al tempo stesso ogni singola pianta era descritta con il proprio sapore, natura, tropismo di canale ed erano specificate le principali patologie che potevano essere trattate singolarmente o in associazione con altre erbe. Questi erbari sono molto simili a quelli scritti nel nostro medioevo fin circa al 1600, quando con le riforme del pensiero scientifico si scelse anche per le piante un indirizzo terapeutico prevalentemente sintomatico, perdendo con il tempo la conoscenza degli intrinseci meccanismi patogenetici. Questo fu successivamente la linea che contraddistinse la medicina occidentale: di carattere eminentemente sintomatica. Infatti da allora si classificarono, per esempio, i farmaci in antidolorifici, antiasmatici, cardiotonici senza approfondire il perche’ del dolore, dell’asma e della patologica cardiaca che sono alla base dei riscontri sintomaltologici della malattia. Attualmente la farmacologia cinese non solo e’ preziosa per lo sviluppo di nuove cure e nuove ricerche fitofarmacologiche, ma e’ un fondamentale presidio per recuperare tutta la tradizione erboristica occidentale che si e’ degradata nei secoli fino ai giorni nostri. Solo nel dopoguerra, in occidente, e’ ritornato l’interesse per la cura con le piante, ma questa spinta culturale per non essere solo una moda, ma deve essere seguita dalla possibilita’ di revisione critica dei testi riportandoli al vecchio concetto di classificazione patogenetica e non piu’ sintomatologica. Dare un fitofarmaco alla stregua di un farmaco di sintesi e’ corretto ma molto limitato terapeuticamente, perche’ il fitofarmaco ha certamente sul sintomo un’azione piu’ blanda del corrispettivo di sintesi, questo significa che l’efficacia terapeutica si considera in relazione alla quantita’ di principio attivo del prodotto. Invece non bisogna piu’ tendere all’aspetto quantitativo della natura, bensi’ al suo aspetto qualitativo. In pratica bisogna utilizzate il fitofarmaco per la sua azione patogenetica, per il suo tropismo di canale, di organo e di struttura anatomica per modificare con il tempo il terreno patologico di quel soggetto e lasciare eventualmente al farmaco di sintesi il compito di colpire i sintomi per brevi periodi di tempo allo scopo di intossicare il meno possibile il soggetto ammalato. In ultima analisi la fitoterapia cinese si colloca elettivamente nella cura delle affezioni croniche e debilitanti allo scopo di ripristinare un buon riequilibro sistemico del paziente.